15 February, 2015

La ricotta e le maschere


Da piccola, per feste al Circolo dell'Aeronautica Militare al Villaggio Azzurro, mi vestivano con i costumi smessi delle mie parenti benestanti, e mi toccava prendere quel che capitava. L'unico di cui resta traccia è l'abito da piccola ungherese che mi faceva goffa e rischiava di farmi capitombolare con quelle stupide calzature di stoffa. Mai un vestitino da principessa, o da fatina, che mi piacevano tanto. Va a capire perché.
Poi un anno, all'inizio dell'adolescenza, mia mamma mi fece un costume da contadinella che mi piacque molto e che ricordo con precisione, poi quell'epoca finì e arrivò il tempo dei Carnevali a Venezia con le amiche. Finito anche quello, il Carnevale si è praticamente dileguato dalla mia personale scansione dell'anno, se non nelle scialbe domeniche di febbraio, quando qualche piccola mascherina in tutto il suo splendore di nylon spicca sul cemento della strada.

Tutta l'inquietudine, il mistero, il lato demoniaco delle maschere mi è diventato chiaro solo quando all'università, per un esame con Piero Camporesi, lessi un testo di Paolo Toschi, forse Le origini del teatro italiano, in cui indica nell'origine germanica del nome Arlecchino il significato di "re dell'inferno" "hell's king". Nel Medioevo, la figura che appariva vestita di stracci nella polvere delle strade veniva dall'inferno a ricordare ai vivi quanto mondo e oltremondo fossero collegati.
Una folgorazione.
Da allora continuo a non curarmi granché dei nostri Carnevali strapazzati, ma ho grande rispetto per le maschere tradizionali e per i loro significati millenari.

Oggi cercavo qualcosa di semplice, quasi primitivo, da cucinare. Avevo una ricotta di Fadda nel frigo, ancora fresca, e l'ho fatta al forno.

L'ho condita con sale, pepe, un filo d'olio, qualche seme di lino e di sesamo, poi l'ho messa nel forno già caldo a 180° per mezz'ora.
Deliziosa, anche il giorno dopo. A tavola ha fatto la sua figura con l'insalata di cavolo rosso, mele e noci.
















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